Rapa-Nui #31

   Spesso capita, nella vita di un essere umano, che si imbocchi una via senza uscita, che si facciano scelte, delle quali, ci pentiremo quando sarà troppo tardi per avere una seconda scelta. Capita anche che una parte di noi abbia un presentimento, capita che presagiamo un disastro, ma che la ragione prevalga sull’istinto di conservazione, che la mente faccia la voce grossa e ci distragga dagli istinti del cuore. Un parallelo molto interessante ci viene dalle vicende del popolo dell’Isola di Pasqua, detta anche Rapa-Nui. Un popolo divenuto famoso per le megalitiche teste d’uomo poste tutte in fila sull’isola.

   Studi fatti hanno messo in evidenza che, originariamente, quest’isola era verdeggiante e lussureggiante, con fauna e flora di vario tipo. Gli isolani giunsero qui, a quanto pare indiscutibilmente, su piroghe primitive, provenienti da isole molto lontane, quindi, intraprendendo un viaggio oceanico quasi impossibile. Una volta insediatisi sull’Isola, si diedero delle regole sociali molto stringenti, alle quali seguirono regole spirituali e riti tribali miranti al rispetto della tradizione e alla devozione agli dei. La vita si svolgeva sull’isola sfruttando le risorse a disposizione, ad esempio, la fauna locale per l’alimentazione e la vegetazione per la costruzione di capanne e il trasporto dei megaliti: non è noto il motivo per cui questo popolo iniziò a scolpire queste enormi teste, quel che è certo, è che, per spostare megaliti di otto tonnellate, usavano moltissimi tronchi di palma rotolanti.

   L’isola era ricca di palme, quindi ne usarono in quantità. Man mano che le generazioni si susseguirono e i capi tribù si avvicendarono superando le prove di forza durante i riti tribali, l’isola andava impoverendosi sempre più di fauna e flora. Essendo un “ecosistema chiuso”, non ci poteva essere ricambio di risorse: il sovrappopolamento divenne subito un problema; sanguinose guerre fra clan, ne ridussero l’impatto ambientale, ma non risolsero quasi nulla se non nell’immediato. Il cibo, infatti, cominciò a scarseggiare, le palme si stavano esaurendo, l’equilibrio dell’ambiente naturale era stato stravolto e nessuno era in grado di avere la visione globale di una vicenda umana che si svolgeva in un lasso di tempo relativamente lungo, quanto meno durante svariate generazioni.

   Appare evidente, dagli studi fatti, che gli unici a poter scorgere gli effetti catastrofici di tale comportamento, tenendo in conto che trattavasi di un ambiente ristretto, senza via di fuga e senza comunicazione con l’ambiente esterno e con demografia incontrollata, erano gli anziani. Inutile dire che, essendo la successione alla guida del clan riservata ai giovani più forti e valorosi, la saggezza degli anziani non costituiva voce in capitolo. Quando la cieca sete di potere dell’ultimo capo clan ebbe tagliato l’ultima palma dell’isola, fu decretata storicamente la fine di questo misterioso popolo: giunsero al cannibalismo e ad uccidere l’ultima femmina a disposizione. Non è noto se qualche ultimo indigeno riuscì a fuggire a bordo di piroghe, ma sembra improbabile, dato che il materiale da costruzione era già esaurito da tempo, così come le scorte alimentari.

   La storia di questo popolo, tornando al discorso iniziale, ci dovrebbe essere di monito: non è infrequente, come dicevamo, che si ignori una visione globale della propria esistenza e ciò conduce direttamente ad una imminente catastrofe. Noi non siamo, per natura un “ecosistema chiuso” e senza via di fuga, tranne che nel caso in cui il nostro ego ci impedisca di comunicare e di cogliere i segnali esterni provenienti dal nostro prossimo e dal nostro interno. L’arroganza e la presunzione, la sete di potere, la cecità verso ogni altra prospettiva, sono i sintomi evidenti e, a noi invisibili, della fine imminente. Il perdurare nel tempo di queste condizioni sfavorevoli conduce direttamente oltre il punto di non ritorno.

   La nostra vita non è molto lunga, dovremmo temere, in noi, atteggiamenti di chiusura, di isolamento mentale, di prepotenza, di vanagloria, la sete di potere. Dovremmo, invece, tenere in grande pregio la comunicazione, la condivisione, il sentimento di umanità, l’amore interiore e la sensibilità verso i moti dell’animo. Come? Ad esempio smettendola di usare risorse (l’Energia vitale) per costruire e adorare falsi dei, come l’Ego, smettendo subito di nutrirci dei nostri fratelli (ignorare gli anziani sentimenti del cuore) e, infine, facendo attenzione a non uccidere l’ultima femmina (la nostra sensibilità del cuore).

04/sett/2018                                                        Claudio Panicali


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