Proprio stamani
leggevo della delusione che provano alcune persone. Dicono che ferisce, che
avvelena, che è come una pugnalata alle spalle. Siamo davvero sicuri che sia così?
Ho sentito dire, anche, che siamo responsabili delle nostre azioni nei
confronti dei progetti che gli altri hanno fatto su di noi, ma io ho qualche
dubbio su questa visione. Un tempo mi dedicavo alla crescita di una piantina
rampicante, molto graziosa, verde, quasi un’edera. La innaffiavo regolarmente e
ne legavo i rametti più lunghi a chiodini messi nel muro, così da darle una
forma. Quando poi avesse creato rami legnosi e forti, si sarebbe sostenuta da
sola, anche senza chiodini. Continuai per un bel periodo e mi dava molte
soddisfazioni: avevo progettato di trasferirla in giardino così che, senza
vaso, potesse espandersi liberamente e fiorire anche meglio.
Poi, un giorno, se
anche avessi cambiato casa, me la sarebbe sempre portata con me, nel nuovo
giardino. Anno dopo anno, la curai, la concimai, la potai, le diedi forma. Un
bel giorno, però, mentre non ero in casa, una specie di tromba d’aria la
strappò dai chiodi, la fece volare lontano ed io la persi per sempre. Ne rimasi
profondamente deluso e amareggiato, il mio progetto vanificato, le mie cure di
anni sprecate, le mie aspettative tradite. Col tempo, crescendo dentro, mi resi
conto della ragione del mio malessere d’allora, scoprii la ragione della mia
delusione, che certo, non era dovuta alla povera piantina, ancor meno era
dovuto al tifone che la fece volare dal balcone. Mi resi conto che la
sofferenza risiedeva in me e la ragione anche, era dentro di me, non nelle
circostanze, non in altre persone, non nei fatti che accadono.
Ciò che mi ha
fatto soffrire è stato il progettare e disegnare, vanamente, aspettative nei
confronti di qualcosa che segue, invece, leggi proprie, che è suscettibile di
molti altri fattori, tutti indipendenti dalla mia volontà e dalle mie cure,
fattori indipendenti dalle mie intenzioni e dai miei propositi. La piantina che
colpa poteva avere? E il vento? Io sì, però, io sì che avevo colpa e torto! Nei
miei confronti solamente, però. Da questa e da altre vicende simili, imparai
che non bisogna mai progettare e crearsi aspettative su basi eccessivamente
variabili, a meno di accettarne anche il rischio, per altro altissimo, che
tutto sia facilmente vanificato dalle circostanze sterne e sulle quali non si
può avere il controllo. Le persone
maggiormente, ma anche la piantina rampicante, sono soggette a fattori esterni
che ne modificano ogni momento la vita, la crescita, il cammino nel mondo.
Progettare su di loro creandosi sogni ed aspettative, equivarrebbe a costruire
case sull’acqua. Spesso, le persone, provano a mantenere una linea di
propositi, tali da non deludere chi crede in loro. Le persone cercano di
attuare comportamenti e aggiustamenti atti ad assorbire i colpi della vita che
li farebbe deragliare dalle intenzioni originarie, ma, per causa di forza
maggiore, non sempre ci riescono: non si può fargliene una colpa se ci stanno
deludendo. Piuttosto, dobbiamo guardarci dentro e chiederci: “Non è che ho
tentato di costruire sull’acqua?”. Soprattutto, “Perché lo faccio?”. Ancora una
volta, probabilmente e come abbiamo già visto, ciò che abbiamo dentro, non ci
soddisfa, ci mette in contrasto con la quotidianità, si scontra con il mondo.
Per questo, cerchiamo nel prossimo e all’esterno gratificazione ed
approvazione, conforto, appagamento dei desideri e realizzazione dei sogni più
intimi. Ciò, tuttavia, oramai lo abbiamo visto bene, è un fallimento sicuro,
una frustrazione continua. Il motivo? Nel Vol. 2 “Quali Sono Le Porte” al Cap.
6 “La Medicina”, vediamo molto bene cosa c’è sotto, inconsciamente, senza che
ne abbiamo (per ora) consapevolezza. Dobbiamo imparare che, questo controllo, è
necessario, è portare questo inconscio nel conscio e agire di conseguenza, con
consapevolezza, con chiarezza, con correttezza d’intenti, per non sprecare la
nostra vita, la nostra energia, per non perderci nella sofferenza della
delusione. Vedremo anche perché, nella vita di coppia, questo comportamento
(dell’uno verso l’altro) è meglio tollerato e offre minor sofferenza che non se
si fosse soli.
5/ott/2108 Claudio Panicali
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