Chi è l’Altro? #42

   Da che l’uomo ha coscienza di sé, della propria esistenza come individuo, il problema dell’altro ha cominciato a farsi strada nel pensiero filosofico d’ogni tempo. Sono innumerevoli coloro che vi hanno dedicato buona parte della loro esistenza, regalandoci migliaia di pagine di riflessioni e di momenti di consapevolezza profondissima. In questo contesto, tuttavia, non prenderemo in considerazione gli aspetti filosofico speculativi, ma solamente quelli che attendono ad una reale evoluzione esistenziale: lo studio intellettuale è una cosa, ben altra sono l’esperienza diretta e la crescita personale. Nemmeno staremo qui a creare una sterile lista di pensatori, saggi e filosofi, che hanno formulato i medesimi pensieri, per altro degni di grandissima considerazione.
   Non ci interessa la condivisione del nostro pensiero, non abbiamo bisogno di compagnia, ma di spontaneità, priva d’influenze esterne da altri liberi pensatori. Il problema dell’ “Altro”, cominciò, per me, fin da ragazzino: ricordo quando, mia madre, mi redarguiva per il mio operato, con le famose parole “Pensa se tutti facessero come te!”. Da ragazzino, al massimo avrò gettato a terra un pezzetto di carta sulla strada ma, non è quello il punto. Dentro di me si faceva spazio l’introspezione e una domanda come “Chi fossero questi “tutti gli altri”; o meglio, provavo ad immaginare se, questi “altri”, potessero o no sapere cosa avevo fatto io e fare poi altrettanto. Mi appariva difficile, ma anche, mi sembrava potesse esserci un meccanismo comunicativo nascosto e a me sconosciuto. Subito dopo, infatti, un'altra riflessione, mi sorgeva: “Se io non lo faccio, come potranno “gli altri” sapere che non l’ho fatto e, anche loro, prendere esempio da me?”

   Inutile sottolineare che così innocenti elucubrazioni mentali, sono dovute all’età adolescenziale. Oggi, però, nell’età adulta, sono ancora riflessioni infantili? Sono ancora solamente delle sterili elucubrazioni? Perché, oggi, hanno un peso così determinante? Forse che non erano così innocenti, questi pensieri? Ricordo che, quelle parole, “Se tutti facessero”, per me corrispondevano ad una inquietudine molto profonda: sentivo il peso della mia responsabilità verso il prossimo. Al contempo, provavo uno strano senso di falsità, in quelle parole, come non avessero un fondamento di verità ma, contenessero dentro, la prova della loro stessa irrealtà, come quando senti pronunciare ad una persona delle frasi che non sente sue ma che, solamente, sta riferendo per sentito dire: percepisci subito la “distanza” che intercorre fra le parole e chi le pronuncia.
   Ecco, in me cresceva il sospetto che “Io e l’altro” non fossero due entità così ben definite. Provavo dentro un senso di inadeguatezza, come una mancanza di contenuti che mi facessero provare la sostanza di queste due cose come definite, separate e opposte: io e gli altri. Sostanzialmente, non percepivo una vera e propria separazione, una vera distanza, una qualche grande differenza. Era tutto un po’ omogeneamente “vivente”, senza troppi dettagli, come amalgamato. A tal punto che, ancora oggi, l’altro potrebbe essere null’altro da una semplice proiezione di se stesso. Se così fosse, con chi si starebbe parlando? Per chi si starebbe scrivendo? Soprattutto, perché lo si farebbe?
   Sono domande legittime, fanno parte della ricerca. Nell’età adolescenziale, sono interrogativi molto pesanti, perché sono ancora pochi i punti di riferimento maturati ed è facile perdere la rotta, smarrire il filo della propria vita. Nell’età adulta, l’esperienza nella ricerca, la maggiore stabilità emotiva e psicologica, permettono un’analisi più efficiente e produttiva. Nell’età adulta, ci si permette anche qualche “passeggiata nel deserto senza nome”, per così dire in metafora: si può mettere in dubbio la propria identità, la propria intera esistenza. Il coraggio è una grande conquista. E’ molto differente dall’avventatezza adolescenziale. Il Coraggio possiede, oramai, tutte le armi per difendersi anche in caso di eventi imprevisti e di nemici sconosciuti, l’avventatezza adolescenziale è più simile all’azzardo, all’andare allo sbaraglio, al giocare il tutto per tutto, anche senza avere possibilità di salvezza. Nell’età adulta, invece, impariamo ad apprezzare la vita, ad averne il rispetto che merita e la devozione per ogni cosa che venga da essa. Ciò perché abbiamo trovato il suo significato profondo.
   Torniamo, ad esempio alle precedenti domande: “Se l’altro non è che me stesso, con chi sto parlando ora, mentre scrivo qui?” Alla luce del cammino di consapevolezza, non fa nessuna differenza. Che l’altro sia diverso da me o parte di me stesso, devo a lui grande rispetto, amore e cura, in ogni caso. Ogni cosa che facessi contro di lui, la farei al contempo contro di me. Alla luce di un cammino di conoscenza interiore, che i paesaggi fuori di me possano essere, invece, dentro a me, non fa alcuna differenza: devo muovermi comunque con grande rispetto e gratitudine. Ogni cosa che facessi contro di essi, la farei contemporaneamente a me stesso (anche se questa penalità non potrà in alcun modo essere motivante al cammino spirituale, dove non si procede per paura del castigo ne’ per desiderio di premio).
   Questo modo di affrontare la vita, interiore o esteriore che sia, ne’ interiore e nemmeno esteriore, ma “altro” dall’una e dall’altra insieme, comporta l’apertura di una grande porta, si chiama la "La Porta Sacra". Nel vol. 2 “Della Coscienza” abbiamo ben visto come arrivare ad incontrare e riconoscere questa porta mistica, come attraversarla e procedere oltre. Non è facile arrivare ad essa, la maggior parte delle persone non la vedranno per tutta la vita. Questa porta è la soluzione dell’antico enigma legato alla percezione dell’Io e dell’altro. E’ un passaggio fondamentale, preziosissimo e raro.
   C’è una storia che rende bene il senso e la difficoltà di questo enigma. Si tratta del giovane guerriero che dovrà affrontare una prova difficile. Questa si trova, inevitabilmente, sul suo cammino di crescita e non può essere elusa in alcun modo. Dopo aver attraversato la terra senza nome, si troverà improvvisamente in presenza di una grande sfinge alata. Somiglia ad un gatto seduto, fiero e severo, le grandi ali ripiegate all’indietro e verso l'alto, severo, ma tiene gli occhi chiusi. Si narra che, ai suoi piedi, centinaia e centinaia di cadaveri pietrificati, siano lì da quando hanno incrociato lo sguardo della sfinge alata. Nessun uomo, per quanto ardimentoso e forte, riesce a passare oltre quella sfinge risolvendo l’enigma scritto sull’epigrafe alla sua base, che recita: “Pellegrino, guardami e dimmi: Se io sono te e tu sei me, se ogni cosa è già dentro di te, dove stai andando?”. C’è un solo uomo che può risolvere l’enigma senza restare incenerito.
   Non scriverò certo, qui, come si risolve l’enigma e come il giovane guerriero è potuto passare oltre la sfinge e proseguire il viaggio della sua vita. Chi ha sufficiente pratica della Via interiore, non conosce la soluzione ma sa come passare. In fin dei conti, non è una storia di fantasia, ma solamente la descrizione figurata di un evento mistico, un passaggio che ogni essere evoluto ha dovuto affrontare. Torniamo, quindi, al titolo del paragrafo: Chi è l’altro?. Credo fermamente che, con questo interrogativo, sia determinato, con la massima precisione, il nodo sostanziale che è alla base dell’esistenza umana. Esso equivale alle tre domande fondamentali: “Chi sono, Da dove vengo e Dove vado”, le contiene tutte e le presenta unitamente in maestosa profondità: le trascende e porta fra le braccia la redenzione. Diceva Lao-Tzu tremila anni fa: “Tutte le cose han sulle spalle l’ombra, ma portano fra le braccia la luce”.


28/dic/2018           Claudio Panicali


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